"Non ho scelto il male né il bene, Ma attraverso e al di sopra del male, ho scelto la poesia" C. Baudelaire.



giovedì 20 giugno 2013

A une passante

Di Charles Baudelaire
I fiori del Male 
Sezione II      Tableaux parisiens.  XCIII  
Si trova fra:    Les aveugles (i ciechi) e Le squelette laboureur (lo scheletro contadino)
Pubblicata nel 1860 -15 ottobre- su l'artiste.   
Pubblicata nel 1861, in occasione della II edizione de "I fiori del male".

In questo post troverai riferimenti ad altre poesie di Baudelaire, ma anche al cinema di Bunuel, alla musica di Brassens e De André, alla poesia di Antoine Pol e sarà del tutto ...normale! 

Nb: Il 14 gennaio 2016
-data del "restauro"- 

 Sonetto irregolare. Rime: ABBA CDDC EFE FGG 
A une passante 
In Francese
In italiano: 
La rue assourdissante autour de moi hurlait.
Longue, mince, en grand deuil, douleur majesteuse,
Une femme passa, d'une main fastueuse    (Enjambement)
Soulevant, balançant le feston et l'ourlet;
La via assordante  intorno a me urlava.
Alta, slanciata, a lutto, dolore maestoso
Una donna passò, con una mano fastosa
Sollevando, ondeggiando  il festone e l'orlo; 
Agile et noble, avec sa jambe de statue.
Moi, je buvais, crispé comme un extravagant,
Dans son oeil, ciel livide où germe l'ouragan,
La douceur qui fascine et le plaisir qui tue.
Agile e nobile, con la sua gamba di statua
Io, bevevo, proteso come un folle, 
Nel suo occhio, cielo livido in cui cova l'uragano, 
La dolcezza che affascina e il piacere che uccide
Un éclair... puis la nuit! -Fugitive beauté
Dont le regard m'a fait soudainement renaître,
Ne te verrai-je plus que dans l'éternité?
Un lampo... poi la notte! -Fuggitiva bellezza
Il cui sguardo mi ha fatto improvvisamente rinascere, 
Non ti vedrò più che nell'eternità? 
Ailleurs, bien loin d'ici! Trop tard! Jamais peut-être!
Car j'ignore où tu fuis, tu ne sais où je vais,
Ô toi que j'eusse aimée, ô toi que le savais!
Altrove, molto lontano da qui! Troppo tardi! forsemai 
Poiché ignoro dove tu fuggi, né tu sai dove io vado, 
 tu che avevi amato, tu che lo sapevi!


Come indicato dal titolo, si tratta di una poesia dedicata ad una donna, una sconosciuta incrociata lungo la via, una figura che emerge dalla folla e si distingue dagli altri, agli occhi di un altro passante, il poeta, il quale, neutralizzato il rumore iniziale della strada "urlante", vive la scena utilizzando soprattutto il senso della vista, finendo così col contrapporre questa poesia alla precedente "I ciechi" ai quali, per forza di cose, il senso dell'udito è precluso.

[...]
Altre poesie nei fiori sono state dedicate a qualcuno a partire dal titolo: 
Nella sezione I: 
A une madone LVII (ciclo Daubrun) per Marie, vittima-carnefice.
A une dame créole LXI ("sette poesie per sette donne diverse"). Si firma B. Dufaÿs.
                              Questo è il primo sonetto che pubblica su l'artiste nel 1845.
                              La creola in questione è la moglie di Autard Bragard, bellissima pare.
Nella sezione II: 
A une mendiante rousse LXXXVIII, toni ronsardiani, come nella precedente poesia.
A une passante XCIII
Nella sezione: Les épaves/I relitti:(poesie condannate)
A celle qui est trop gaie V (per Apollonie Sabatier)
Nelle poesie diverse: 
A une malabraise (a una donna del Malabar)
Nei poemi aggiunti nella III edizione: 
A Théodore de Banville I (Poeta legato al parnasse)

Sette in totale, e quasi tutte sono dedicate a donne con le quali il poeta ha rapporti di diversa natura.
[...]
Nella poesia "A une passante", emerge il topos della bella sconosciuta, piuttosto diffuso in poesia, così come lo è in musica e nei film, anche se qui abbiamo soprattutto l'istantanea di una storia che non ci sarà mai, perché è il caso a governare ciecamente i destini umani ("les auveugles" è il titolo/tema della poesia precedente)


INFINE... 
A une passante.

Sonetto irregolare (ABBA CDDC EFE FGG)  

La troviamo nella Sezione II  (aggiunta nell'edizione del 1861) che ci apre le porte verso i colori cupi e foschi della modernità. Una modernità che, forse per l'ultima volta, riesce a conciliare uno stile di scrittura tradizionale (Sonetti ed alessandrini quasi sempre) a contenuti nuovi, passando per una mortificazione del concetto di "ispirazione" romantica, che secondo la leggenda, cadrebbe dall'altro.
Baudelaire, come Poe, Balzac, Flaubert, ma anche Gautier e i parnassiani, rifiuta questa idea, e sostiene la necessità di un lavoro intellettuale e ragionato per comporre versi.
Il poeta insiste molto nel definire i fiori "un libro" e non una "raccolta". Lo fa per  sottolineare la struttura di un lavoro in cui ogni poesia è perfettamente autonoma rispetto alle altre, eppure, leggendo il libro nel suo insieme, ci rendiamo conto dell'esistenza di una fitta rete di interconnessioni fra le poesie, capiamo così di avere a che fare con un corpus poetico che è frutto di incredibile ed incessante elaborazione da parte di un uomo che ha impiegato quasi tutta la vita scrivendo e rivedendo i suoi fiori. Poi verranno i vari Verlaine, Rimbaud, Mallarmé... ma è stato Baudelaire ad aprire il varco verso la modernità.

1 quartina
La rue assourdissante autour de moi hurlait.
Longue, mince, en grand deuil, douleur majesteuse,
Une femme passa, d'une main fastueuse    (Enjambement)
Soulevantbalançant le feston et l'ourlet;
La via assordante  intorno a me urlava.
Alta, slanciata, a lutto, dolore maestoso
Una donna passò, con una mano fastosa
Sollevando, ondeggiando  il festone e l'orlo;
La rue/La strada. (nella sezione II)
Il setting della poesia è dunque la strada, il "luogo comune" per antonomasia, lo spazio urbano fatto per muoversi, ma anche per incontrare il prossimo, il quale si manifesta nelle più svariate fattezze.
[...]

Ho precisato l'importanza della struttura nel libro, perché è interessante notare, fra le tante cose, il ruolo che le strade assumono nella sezione "Tableaux parisiens". 
I "Quadri parigini", si trovano subito dopo la lunghissima sezione uno "Spleen et Idéal" che si conclude mostrando un poeta ormai preda dello spleen il quale, con lo scandire delle ore di un orologio, finisce col vincere sull'idéal.
Visto che l'ultima sottosezione è quella del dualismo della solitudine fra spleen et Idéal, il solo "rimedio", se così si può dire, consiste nell'uscire fuori di sé, abbandonando l'introspezione ed aprendosi agli spazi aperti di una città, ovvero Parigi, vissuta per molti secoli da artisti europei ed oltre, come "La" città, il punto di conversione, lo spazio in cui tutto può succedere.
Certo, la Parigi che ci mostra Baudelaire è borghese, "reale" (nell'epoca che inventò il realismo al quale il poeta non crede affatto: "Inventata la frottola, bisognò crederci") dunque senza veli, industriosa, sporca (fra tubi, fuliggine, fiumi di carboni, passando per i lavori in corso in zona Louvre: un qualsiasi artista romantico, avrebbe raccontato la maestosità dello stabile, si suppone) e poi le strade, che sono luogo d'incontro-scontro con gli altri.
[...]
Le poesie che precedono A une passante, in due parole.

1_"Paysage" apre la sezione II, "Tableaux Parisiens" laddove, Tableaux evoca un dipinto, o un ambiente paesaggistico. L'aspettativa sarà subito delusa.
Già dal primo verso, il poeta sottolinea l'importanza della volontà nell'atto creativo (non la romantica ispirazione che cade dall'alto) e cita, forse in modo ironico, le egloghe (il cui nome basta ad evocare Virgilio, che troveremo ancora nella poesia Il cigno) e poi inizia a raccontarci la sua Babele moderna, sporca, rumorosa, caotica, e vista dall'alto (sinonimo forse di una volontà di visione oggettiva, distaccata). L'atto creativo però, si compie all'interno di una stanza, con la testa rivolta allo scrittoio e le finestre chiuse. Ancora una volta: Non "ispirazione" ma "elaborazione"mentale.

2_Nella seconda poesia della sezione: "Le soleil" il poeta, come il sole, scende sulla città e letteralmente... la illumina. Si trova lungo un sobborgo, il sole è cocente, ed egli fiuta ad ogni angolo gli azzardi della rima, inciampando sulle parole come sul selciato, e:
 Heurtant parfois des vers depuis longtemps rêvés. /
mi imbatto a volte in versi sognati a lungo. vs8
 Questo "imbattersi"a lungo sognato, mi ha fatto pensare alla passante della poesia.

3_"A una mendicante dai capelli rossiè scritta per "nobilitare" una giovane cantante dai facili costumi. Il poeta evoca in questi versi Ronsard, quindi la Pléiade (seconda metà del cinquecento). Nella poesia, la strada combacia col luogo in cui il "sogno" si spezza, e la nobilitazione smette di essere possibile. La ragazza che nella poesia è stata per un po' ricca e splendida, viene mostrata per ciò che è realmente, una mendicante, che raccatta oggetti in giro e si sofferma a contemplare nei negozi che incrocia, non ori, ma bigiotterie di basso costo, che il poeta, più povero di lei, non può comunque regalarle.
4_"Il cigno" è una poesia di grande impatto, dedicata a Victor Hugo, ed avente a tema un'amara riflessione del poeta il quale, passeggiando in zona Louvre, dove si erano a breve compiuti lavori di ristrutturazione volti a bonificare una parte del Nouveau Carrousel, pensa alla "maestosa" sofferenza della celebre vedova Andromaca, figura letteraria. La sua sofferenza è simile a quella di una donna africana, che vive in Francia, lontano dalla  terra natia, la "superba Africa", cercata invano di là dalla nebbia. Anche il poeta soffre, e con lui tutti gli altri personaggi della poesia. Il motivo? A Parigi tutti si sentono esuli, anche quelli che, a differenza di Hugo, non si sono mai spostati. E ciò dipende da Napoleone III e dalla sua politica che, a livello urbanistico, sta letteralmente ridisegnando la città, creando estraniamento in chi si sente esule a casa propria, come il cigno, come Andromaca, come la Negra... A costo di insistere troppo sulla struttura d'insieme, nella poesia "Bénédiction", la prima dopo la poesia prologo "Au lecteur", Baudelaire annuncia già l'importanza del dolore che nobilita:
"Je sais que la douleure est la noblesse unique" vs 65 
"So che il dolore è la sola nobiltà" 
Dunque, il dolore è un sentimento "moderno", necessario, che nobilita chi lo vive. 

5_ "I sette vecchi" (Con Il cigno e le vecchiette, essa forma un trittico di poesie dedicate a Victor Hugo) la strada è un luogo"formicolante", pieno di sogni, in cui uno spettro adesca il passante in pieno giorno! Si narra di un mattino in cui, stanco, il poeta cammina e discute con la sua anima, quando incrocia un vecchio vestito a cenci, che evoca nella sua mente Edipo e la sfinge (vs 25-28). I vecchi lungo la via si moltiplicano e diventano sette. Il poeta esasperato, volge le spalle al corteo infernale. Torna a casa e si chiude dentro, spaventato e ferito dal mistero e dall'assurdo, oltre che incapace di tornare alla ragione. 
6_Le vecchiette è una poesia molto lunga, e ancora una volta, racconta della vita lungo le strade di Parigi. Qui inizia parlando delle pieghe sinuose di antiche capitali in cui tutto ha un suo incanto, (non più terra di spettri!) anche l'orrore. ... quando vede un "debole fantasma" (una vecchia) attraversare il quadro brulicante di Parigi, ha sempre l'impressione che quel fragile essere vada piano piano verso la sua nuova culla (quella della morte. I vecchi hanno culle piccole, simili a quelle dei bambini). Lungo queste vie, il poeta ha seguito molte donne vecchie (con curiosità morbosa, quasi affetto) e le ha osservate. Arriva a pensarsi loro padre, ed assapora "piaceri clandestini" a loro insaputa. Il finale è particolarmente crudo: "Ruderi!Famiglia mia! Congeneri cervelli!/Vi do tutte le sere un solenne addio!/E dove starete domani, Eve ottuagenarie,/sulle quali incombe l'artiglio terribile di Dio?/
7_Il percorso continua, così incontra dei ciechi ("Les aveugles"), esseri grotteschi che l'anima del poeta, ancora una volta, contempla. Cieco è chi non vede, ma anche chi sceglie di non vedere. I ciechi sono gli abitanti del mondo moderno. Fissano il cielo in cerca di una luce che non vedranno mai, e camminano come tutti lungo le strade di questa città, che è: "amante del piacere fino all'atrocità".

Quindi, dal cigno in poi, il poeta si trova lungo le strade della città e si lascia assecondare da paure ed angosce irrazionali (i sette vecchi), da fascinazioni morbose (le vecchiette) e da una curiosità infastidita (Si chiede: che cercano in cielo questi ciechi?). Solo a questo punto della "storia" ci è dato di sapere di un incontro finalmente piacevole ai suoi occhi, e succede nella poesia che stiamo analizzando. Certo, è un piacere fuggitivo... infatti dura solo un attimo.
[...]

"Moi", soggetto poetico, ci racconta di un incontro accaduto in un tempo anteriore: "hurlait", "passa", sono verbi al passato.

La strada "urla", ed è un'azione atipica, visto che l'urlo appartiene all'uomo. (né: "Il crepuscolo della sera" succede che: "Le cucine della sera soffiano" vs 20-25, e qua e là, non mancano esempi simili) Il rumore sembra essere il tratto saliente di una metropoli gigante come Parigi, trasformata dal Barone Haussmann per volere di Napoleone III in un immenso cantiere. (Il cigno, abbiamo detto...) Il rumore è più in generale, un destino legato alla modernità.
Vero anche che l'udito è il senso più usato da chi non vede, cioè dai ciechi della poesia precedente (in quando "libro-struttura", non è di vitale importanza notare la connessione, che tuttavia esiste ed è frutto di una precisa intenzione del poeta) così per contrasto, nella poesia "A una passante", dopo aver chiarito che la strada è "assourdissante", sarà la vista il senso predominante, e con gli occhi il poeta incrocia una donna alta, slanciata, vestita di nero, dunque in gran lutto, alle prese con un dolore maestoso

Le vedove
abbondano nell'opera di Baudelaire.
Si ha l'impressione che egli ne sia morbosamente affascinato. Penso ad Andromaca, alle vecchiette, ma anche a sua madre, che era in questo periodo, alle prese col suo secondo lutto, essendo il generale Aupick deceduto nel 1857, l'anno del processo a I fiori del male; quindi la donna pativa, presumibilmente, per la perdita del marito e per la vergogna in merito al processo che accusava il figlio di immoralità ed oscenità senza possibilità di replica.

La donna nella poesia è vestita di nero, ed è un altro elemento di modernità, visto che ai tempi, il nero era un colore riservato agli abiti degli uomini. Il nero sta per "lutto", come fu per Andromaca, ma di lei sapevamo più cose (personaggio letterario). La passante invece, è come uno spettro affascinante che vaga col suo mistero lungo le vie. Un dettaglio sul suo abito, ci svela che è anche elegante, e ciò è necessario per piacere ad un Dandy come Baudelaire, secondo il quale, la donna è naturale dunque abominevole, e solo il ricorso al trucco e all'artificio, può rimediare a questa pecca.

Come Andromaca, la donna vive un dolore "maestoso":
  • "L'immense majesté de vos douleur de veuve"  (vs 3 "Il cigno")  
  • "derriere la muraille immense du brouillard"  (Il cigno in merito alla negra)
  • "Je sais que la douleure est la noblesse unique" vs 65 bénédiction. Sez. I 
La morale quindi, ce l'aveva detta dal principio! Il dolore è un sentimento tipico della modernità, ed ha il potere di nobilitare chi lo vive. 
"A celle qui est trop gaie" dedicata ad Apollonie Sabatier, narra di una donna che è invece "naturale", sorridente, solare, sana, colorata, e che il poeta incontra (anche li, per caso) anche se lei non si accorge di lui! Lo sfiora per caso, suscitando nell'uomo sentimenti di amore e odio, nonché un insolito desiderio di vendetta. Egli vorrebbe creare sul suo fianco uno squarcio (nuove labbra) da fecondare col suo veleno, e fare di lei "ma soeur" (Vedi Au lecteur, ultimo verso "Mon semblable, mon frère"...dedicato al lettore)
Non ho potuto non pensare all'occhio tagliato dal rasoio nel film "Le chien andalou" di Luis Bunuel nel 1929 (tempo dopo quindi), perché in fondo, il senso è lo stesso: Occorre vedere con nuovi occhi, in senso stilistico, come tematico.
La donna di A celle... è una donna riconducibile ad un passato remoto dell'umanità, quello già narrato nella V "J'aime le souvenir de ces époques nues"), dove la pelle morbida delle fanciulle  smuoveva un desiderio di punizione, ache se... più velato: un morso (che non è neppure minacciato. E' solo un istinto. Qui invece "je voudrais", cioè: io vorrei, e ciò implica una volonta, ovviamente.)

2 quartina. 
Agile et noble, avec sa jambe de statue.
Moi, je buvais, crispé comme un extravagant,
Dans son oeil, ciel livide où germe l'ouragan,
La douceur qui fascine et le plaisir qui tue.
Agile e nobile, con la sua gamba di statua
Io, bevevo, proteso come un folle, 
Nel suo occhio, cielo livido in cui cova l'uragano, 
La dolcezza che affascina e il piacere che uccide

Agile/statua: sono rispettivamente la prima e l'ultima parola del verso, e c'è un'evidente contraddizione visto che "agile"è un aggettivo legato al movimento, invece  le statue sono sinonimo di immobilismo.
La gamba di statua, volendo, potrebbe evocare immagini della poesia V (j'aime le souvenir...) in cui Febo immortalava le "statue" in oro (Febo era dio del sole). Nella poesia, divisa in tre strofe, il soggetto è di volta in volta: Je/le poète/nous, e parla di un mondo precristiano e sereno che vive in sostanziale armonia, e ad esso contrappone il mondo moderno, dominato dal dio dell'Utile, che deforma i suoi corpi con pannolini di bronzo.

Moi, : Il poeta (la virgola crea un rejet, isolando la parola ed enfatizzandola) bevevo proteso come un folle dal suo occhio, (nella poesia precedente:ciechi), e ciò simboleggia appagamento sensuale.
La metafora del "bere" la troviamo anche nella V (le tettine brune di Cibele, dea della fertilità), e nella poesia "il cigno" ambientata in epoca moderna, infatti qui si parla di "tettare il dolore": Il cigno è una metafora del dolore che nobilita chi lo vive, e il dolore è simbolo della modernità. 

Il cielo è livido, laddove nella V era "amoureux", nel cigno abbiamo "cieli freddi e chiari" che poi diventa "un cielo ironico e crudelmente blu" (vs26).  E' un cielo ironico rispetto alla V, perché qui, se anche piovesse, il desiderio del cigno, di ritrovare il suo lago, sarebbe inattuabile (perché bonificato).
In questo cielo livido, cova l'uragano. In questo senso è una poesia quasi romantica, per la violenza irresistibile dello sguardo. Vero anche che, spesso nelle poesie erotiche, si usa la metafora di un cielo nuvoloso e piovoso.

3 quartina.
Un éclair... puis la nuit-Fugitive beauté
Dont le regard m'a fait soudainement renaître,
Ne te verrai-je plus que dans l'éternité?
Un lampo... poi la notte! -Fuggitiva bellezza
Il cui sguardo mi ha fatto improvvisamente rinascere, 
Non ti vedrò più che nell'eternità?

Un lampo (che è luce), poi la notte: che è buia, ma la donna è vestita di nero, e ciò crea un paradosso, quasi un ossimoro! 

4 quartina.
Ailleurs, bien loin d'ici! Trop tard! Jamais peut-être!
Car j'ignore où tu fuis, tu ne sais où je vais,
Ô toi que j'eusse aimée, ô toi que le savais!
Altrove, molto lontano da qui! Troppo tardi! forsemai 
Poiché ignoro dove tu fuggi, né tu sai dove io vado, 
 tu che avevi amato, tu che lo sapevi!

 "Altrove, molto lontano da qui...." ricorda "Invito al viaggio" o "Le voyage", ma anche "anywhere out of the world" Poema in prosa, con titolo in inglese, dunque alla maniera di Stendhal, crea estraniamento dai suoi luoghi, dai suoi coetanei,  forse nella speranza di una comprensione a venire ("La certosa di Parma" è dedicato "To the happy few" in inglese, cosciente che forse i posteri l'avrebbero apprezzato, ma aveva poche speranze sui coetanei. Balzac fu uno dei pochi illuminati.)


Tu che lo sapevi! è il segno di una corrispondenza fra il poeta e la bella sconosciuta. ma dura solo un attimo. Nella poesia "A celle qui est trop gaie", dedicata alla Sabatier, Baudelaire racconta di un altro incontro, sta volta con una donna classica, e la sua reazione verso di lei è contrastante, oscilla fra amore odio, desiderio e voglia di vendetta, così si punisce un fiore (che incarna la natura) e allo stesso modo vorrebbe punire la donna, disegnandole nuove labbra (uno squarcio sul fianco) da fecondare con il suo veleno per farne una sua sorella. 

Il finale gli costa l'eliminazione dai fiori del male (la poesia si trova oggi fra "i relitti") comunque, la donna di cui parla, lo sfiora ma non lo vede, e fra loro non c'è alcuna corrispondenza. Lei è troppo felice, serena e colorata per i tempi moderni, per questo vorrebbe "fecondarla" da nuove labbra per renderla cosciente, dunque "sua sorella". 
E qui non si può non citare Au lecteur, che finisce col poeta che si rivolge al lettore definendolo ipocrita (non più "candido", come quei lettori che credono in modo acritico a tutto ciò che leggono, fidandosi del narratore onnisciente) invitandolo ad essere suo simile, suo fratello, dunque una sua controparte. Qui, è in cerca di una sorella, sua simile, che troverà invece nella donna di passaggio: Triste perché in lutto, moderna per il colore dell'abito, e che "lo sapeva", dunque nota l'uomo e ci si riconosce. Lei è "sa soeur" più di quanto l'altra potesse esserlo. 

Come ho già detto poco fa, leggendo e rileggendo questi dati, mi si è materializzata sotto gli occhi la nota immagine di un film cult della storia del cinema: "Le chien andalu", 1929,  di Luis Bunuel. Il regista surrealista, propone immagini difficili da decodificare, e molti critici hanno visto nel taglio dell'occhio con il rasoio, la necessità di sforzarsi di guardare il film con occhi diversi. 
Giacché ci siamo, la regia del film, Bunuel l'ha realizzata con Dalì, e pare che "le chien" (che nel film non compare mai) fosse Garcia Lorca, amico universitario alle prese coi primi successi letterari, nel 1928 aveva pubblicato il suo "Primero romancero gitano" e, secondo Bunuel, era troppo concentrato sul estetica dell'opera. 

Louis Bunuel
Le chien andalu
1929. 



La conclusione di Mario Richter in merito alla poesia:
"In questo testo regna la disperazione dell'attimo che fugge nella dissipazione, nella fretta della città assordante e piena di ciechi" (richiama la poesia precedente....loro due invece, si vedono!) .. come un bagliore (prima di ricadere nel buio) che illumina l'ennui, il male del mondo


[...]
Per non spezzare troppo la continuità del discorso, ho spostato in fondo al post, un riferimento a due divagazioni sul tema circa il topos della bella sconosciuta, e relativa diffusione. 
Fabrizio de André 
Fabrizio De André ed le sue "Passanti" (1974)

Dedico questa canzone 
ad ogni donna pensata come amore 
in un attimo di libertà 
a quella conosciuta appena 
non c'era tempo e valeva la pena 
di perderci un secolo in più. 

A quella quasi da immaginare 
tanto di fretta l'hai vista passare 
dal balcone a un segreto più in là 
e ti piace ricordarne il sorriso 
che non ti ha fatto e che tu le hai deciso 
in un vuoto di felicità. 

Alla compagna di viaggio 
i suoi occhi il più bel paesaggio 
fan sembrare più corto il cammino 
e magari sei l'unico a capirla 
e la fai scendere senza seguirla 
senza averle sfiorato la mano. 

A quelle che sono già prese 
e che vivendo delle ore deluse 
con un uomo ormai troppo cambiato 
ti hanno lasciato, inutile pazzia, 
vedere il fondo della malinconia 
di un avvenire disperato. 

Immagini care per qualche istante 
sarete presto una folla distante 
scavalcate da un ricordo più vicino 
per poco che la felicità ritorni 
è molto raro che ci si ricordi 
degli episodi del cammino. 

Ma se la vita smette di aiutarti 
è più difficile dimenticarti 
di quelle felicità intraviste 
dei baci che non si è osato dare 
delle occasioni lasciate ad aspettare 
degli occhi mai più rivisti. 

Allora nei momenti di solitudine 
quando il rimpianto diventa abitudine, 
una maniera di viversi insieme, 
si piangono le labbra assenti 
di tutte le belle passanti 
che non siamo riusciti a trattenere. 


George Brassens 
La canzone di De André è una traduzione fedele di "Les passantes" (1972) composta da George Brassens . La stessa "fedeltà"  Brassens l'ha adottata nei confronti di Antoine Pol, autore della poesia "Les passantes" (da: "Émotions poétiques"1918), che il cantautore ha messo in musica, garantendo in questo modo notorietà ad un poeta che forse, in caso contrario, si sarebbe perso nel niente, come tanti altri. Certo, viene quasi spontaneo mettere in cima a questa lista virtuosa, il nome di Baudelaire, e la sua passante.
Antoine Pol 

Je veux dédier ce poème 
A toutes les femmes qu'on aime 
Pendant quelques instants secrets 
 A celles qu'on connait à peine 
Qu'un destin différent entraîne 
Et qu'on ne retrouve jamais 


A celle qu'on voit apparaître 
Une seconde à sa fenêtre 
Et qui, preste, s'évanouit 
Mais dont la svelte silhouette 
Est si gracieuse et fluette 
Qu'on en demeure épanoui 


A la compagne de voyage 
Dont les yeux, charmant paysage 
Font paraître court le chemin 
Qu'on est seul, peut-être, à comprendre 
Et qu'on laisse pourtant descendre 
Sans avoir effleuré sa main 


A la fine et souple valseuse 
Qui vous sembla triste et nerveuse 
Par une nuit de carnaval 
Qui voulu rester inconnue 
Et qui n'est jamais revenue 
Tournoyer dans un autre bal 


A celles qui sont déjà prises 
Et qui, vivant des heures grises 
Près d'un être trop différent 
Vous ont, inutile folie, 
Laissé voir la mélancolie 
D'un avenir désespérant 


Chères images aperçues 
Espérances d'un jour déçues 
Vous serez dans l'oubli demain 
Pour peu que le bonheur survienne 
Il est rare qu'on se souvienne 
Des épisodes du chemin 


Mais si l'on a manqué sa vie 
On songe avec un peu d'envie 
A tous ces bonheurs entrevus 
Aux baisers qu'on n'osa pas prendre 
Aux cœurs qui doivent vous attendre 
Aux yeux qu'on n'a jamais revus 


Alors, aux soirs de lassitude 
Tout en peuplant sa solitude 
Des fantômes du souvenir 
On pleure les lêvres absentes 
De toutes ces belles passantes 
Que l'on n'a pas su retenir
Mi è capitato di pensare a Baudelaire anche mentre leggevo questo
testo critico su "Tirez sur le pianiste" di  Truffaut,
"...Questa scena di grande suggestione è l'immagine di un incontro mancato tra un pianoforte e un violino, tra un uomo e una donna. Si sarebbero potuti amare, avrebbero  potuto vivere insieme: Ma lui è arrivato tardi. Lei si allontana troppo presto. Per poco sono stati vicini, uniti dalla medesima inquadratura, lo spazio di un attimo, quanto basta per rimpiangere ciò che non è stato. Il cinema di Truffaut è anche questo."  François Truffaut Barbera e Mosca - Il castoro cinema. Pag 38


Supporti video:
A une passante. vidéo.   La musica fa molto "Paris secondo Amélie". La lettura non è male. Forse anche il video... finché you tube non lo cancellerà!

Les passantes. G. Brassens.   ...la canzone.

Le passanti. De André... la canzone. 

2 commenti:

  1. Ottimo lavoro, sento sempre parlar poco di Charles.
    Se non è un problema, lascio la mia lettura di questa poesia.

    http://www.youtube.com/watch?v=hm2ivH-fKCY

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